“Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei” scrive Machiavelli (Il Principe, cap. XVIII) che, non per primo né per ultimo, tratta l’invisibilità dell’essenziale come argomento da adoperare con minuzia.
Paziente, non di impaccio, Machiavelli accompagna il fascinoso Pinocchio nei meandri della mitica mondanità invasa da Narcisi che reclamano la vita principesca.
La società non più divisa tra guelfi e ghibellini è un’iride sparsa tra vari schieramenti affollati da individui egotisti con emblematici nomignoli, rinomanze o titoli fasulli.
L’autrice rafforza i suoi rimbalzi linguistici esponendo Pinocchio in un satirico gioco di fatidici specchi, in cui attraversa anche l’ambìto ruolo di re. Decrittando le sfide il nostro eroe matura, la sua genuinità sperimenta senza contaminarsi. Le sue parabole, impreziosite, diramano i germogli di quel mondo dove ogni essere diventa sovrano di sé stesso.
Elisabeta Petrescu (Galați – Romania, 1966) poetessa, counselor, traduttrice, già insegnante yoga vive dal 1998 in Italia. Ha pubblicato Splendere è cantare (Mimesis, 2010), come coautrice con lo staff di PREPOS il Dizionario essenziale di counseling relazionale e personologico (Montag, 2012), Marinaio di nuova poesia (Pacini Fazzi Editore, 2017), Ionescamente. Io ne esco come? (Ensemble, 2019), Le chiare veggenze di un Pinocchio. Metamorfosi degli insegnamenti di Confucio nel bel paese con lodi (Mimesis, 2020), AA. VV. Décaméron 2020. Projet collaboratif au temps du confinement. Lire, rêver, écrire, vivre…, (Albiana, Ajaccio) premio Innovation du confinement, dicembre 2020 da Livres Hebdo, AA.VV. Stantare, résistance d’écrivains (À Fior di Carta Editions, 2021), Vidi antidivi (Ensemble, 2021).
Le chiare veggenze di un Pinocchio. Metamorfosi degli insegnamenti di Confucio nel Bel paese con lodi, Petrescu Elisabeta – Mimesis 2020
Splendere è cantare. Il respiro della luce, Petrescu Elisabeta, Mimesis 2010
Marinaio di nuova poesia, Petrescu Elisabeta, Maria Pacini Fazzi 2017
Ionescamente. Io ne esco come?, Petrescu Elisabeta Ensemble, 2019
Vidi antidivi, Petrescu Elisabeta Ensemble 2021
“Il poeta di teatro”, Pananti Filippo, Editoriale Ultra 1945
Machiavelli, Principe, a cura di P. Genesini, Padova, 2018
Teatro dell’assurdo, D’Errico, Ezio Dell’Albero, 1968
5: Dal Futurismo al Teatro dell’Assurdo, Einaudi per Il Sole 24 Ore, 2008
Il teatro dell’assurdo, Esslin Martin, ABETE, 1968
La maschera e il volto (Teatro da leggere Vol. 1), Chiarelli Luigi, Intra 2020
Ecce Homo, Lucilla Giagnoni
Stefano Pivato. Favole e politica: Pinocchio, Cappuccetto Rosso e la Guerra Fredda. Bologna: Il Mulino, 2015.
Diffidate dalle parole. Sei pièces, Jean Tardieu, Lemma press 2015
Filosofie e narrazioni dell’assurdo, Mirko Integlia, Mimesis 2017
Teatro: La cantatrice calva, La lezione, Le sedie, Vittime del dovere, La fanciulla da marito, Amedeo o Come sbarazzarsene, Jacques ovvero la sottomissione, L’avvenire è nelle uova ovvero Ci vuole di tutto per fare un mondo, L’improvviso dell’Alma ovvero Il camaleonte del pastore, Il nuovo inquilino, Assassino senza movente, Il rinoceronte, Eugene Ionesco, Einaudi, 1962
Rhinoceros, a cura di M.L. Belleli, Torino, S.E.I., 1977
Passeri Pignoni, Teatro contemporaneo, Firenze, Città di vita, 1967.
Beckett, Ionesco, Miller, Pinter, Williams, Un mestiere chiamato desiderio. Interviste sull’arte del teatro, Minimum fax, 1999.
Laura Pavel, Ionesco. Anti-lumea unui sceptic, Piteşti, Paralela 45, 2002.
Giovanni Rotiroti, Odontotyrannos. Ionesco e il fantasma del rinoceronte, Roma, Il filo, 2009.
Il teatro dell’assurdo
Le Begole sull’ego di un Pinocchio si possono definire a pieno diritto un affascinante pezzo contemporaneo di Teatro dell’assurdo. Questo nuovo fenomeno teatrale, che in una certa misura negava l’ordine politico e sociale esistente, fu chiamato così per la prima volta dal critico teatrale Martin Esslin solo nel 1962. Storicamente, si definiscono così un gruppo di testi di drammaturghi europei scritti negli anni Cinquanta del Novecento che danno forma in scena al concetto filosofico di assurdità dell’esistenza. Del teatro dell’assurdo, in effetti, Petrescu conserva le caratteristiche distintive. Sono opere volontariamente paradossali, in cui spesso non si ritrova il funzionamento tradizionale dell’azione. Essa non è condotta secondo una progressione calcolata, non comporta cambiamenti improvvisi, né nuovi sviluppi e non conduce a un epilogo coerente.
Utilizzando la parodia e l’eccesso, i nuovi drammaturghi contestano ciò che, per secoli, è stata la funzione del teatro; rifiutando il realismo nella tinteggiatura dei caratteri o nella descrizione dei comportamenti sociali, essi si rifiutano di considerare il teatro come riflesso della realtà quotidiana.
In questo tipo di teatro, le figure protagoniste non sono personaggi tridimensionali a archetipi, intesi nel loro valore simbolico e con l’intendo di raffigurare, come accade sovente negli autori dell’assurdo, i vani sforzi di due personaggi che tentano di mascherare il fallimento della loro vita a grandi colpi d’illusioni patetiche. Anche in questo testo si riscontra una tipica proliferazione degli oggetti che invadono l’universo umano. Il mondo è inquietante e assurdo e il reale è osservato attraverso una lente onirica. Anche in Petrescu si ritrova, a un piano di lettura profondo, un livello di introspezione psicoanalitica molto profonda.
Non solo: questo testo condivide con gli illustri progenitori anche molte note di forma, elementi fantastici che nel gioco vanno d’accordo con la realtà; l’emergere di generi misti: tragicommedia, melodramma comico, tragi-phars, l’utilizzo di elementi caratteristici di altri tipi di arte (coro, pantomima, musica).
Quando la lingua è teatro
Il testo di Petrescu con il teatro dell’assurdo ha in comune anche un uso ardito della lingua, che qui diventa pirotecnica, raffinata ed espressiva. Se nei classici del genere i dialoghi sono volutamente senza senso, ripetitivi e serrati, capaci di suscitare a volte il sorriso nonostante il senso tragico del dramma che stanno vivendo i personaggi, nell’arditezza di Petrescu il senso – se non altro come traccia – sussiste, conserva la capacità di divertire e sorprendere. Una potenzialità, quella linguistica, ancora più forte se si immagina il testo nella sua funzione primaria, ovvero quella di testo teatrale, scritto per esser recitato. In questo caso, i testi di teatro dell’assurdo assumono un valore e un fascino musicale – in Petrescu punteggiato di arie d’opera – in cui il contenuto abdica al valore sonoro, ritmico, dei termini. Un lavoro simile faceva Carmelo Bene, iconico attore teatrale nato a Campi Salentina nel 1937 e morto nel 2002, che ha costruito il suo teatro su riletture di classici ardite e fortemente simboliche, ma anche e soprattutto su uno stile interpretativo caratteristico che intendeva rinnovare i codici del teatro sperimentando la varietà polifonica dei testi.
L’esempio di Ionescu
Il lavoro di Petrescu è evidentemente debitore di quello di Eugène Ionesco (o Eugen Ionescu, secondo la dizione di nascita, quella rumena) che con la nostra autrice condivide le origini, e a cui lei ha dedicato la silloge poetica Ionescamente. Io ne esco come? (Ensemble, 2019).
Ionescu è uno dei padri del teatro dell’assurdo, per quanto preferisse chiamarlo “teatro del ridicolo”. Nasce il 26 novembre 1912 a Slatina, Bucarest. Nato da padre romeno e madre francese, trascorse gli anni della fanciullezza a Parigi. Dopo essersi laureato in letteratura francese all’Università di Bucarest, divenne professore di pedagogia al liceo di Bucarest; due anni più tardi ricevette una borsa di studio dal governo rumeno per scrivere a Parigi una tesi sui temi della morte e del peccato nella poesia francese dopo Baudelaire, prima espressione delle preoccupazioni metafisiche che caratterizzano il suo teatro. Si tratta di un tipo di scrittura, come questa in cui verità essenziali appaiono folli, la parola si disarticola, e ne risulta una tragedia del linguaggio. Il teatro di Ionesco è violento e crudele, perché non edulcora la realtà, né offre concetti o idee nuove: si tratta semplicemente di una trasposizione, del racconto della condizione e del destino umani. Muore il 28 marzo 1994 a Parigi, all’età di 82 anni ed è sepolto a Parigi nel cimitero di Montparnasse.
Pinocchio e la satira politica
L’opera di Petrescu si inserisce in un ampio filone di riletture di Pinocchio che ne hanno fatto un simbolo. Accanto alla parabola di formazione, si è parlato di Pinocchio come simbolo esoterico, che compie un cammino iniziatico attraverso prove di conoscenza da superare. Comune è poi la lettura del libro di Collodi come metafora religiosa e cristologica, in cui le buone azioni, i peccati e il ravvedimento conducono a una morte simbolica e poi a una resurrezione a vita nuova. L’attrice Lucilla Giagnoni ha invece usato Pinocchio come metafora per spiegare la pervasività e il valore del denaro nella società moderna. Petrescu, invece, ne fa un simbolo molto umano della fame del potere, guidato da Machiavelli, mentore politico per antonomasia, a cercare di saziare la fame di potere che cova in fondo a ognuno.
Scontandone, poi, le inevitabili conseguenze.
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